L’Arcadia in Brenta, Milano, Malatesta, 1750

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Deliziosa.
 
 Tutti a sedere, cioè il CONTE in mezzo, madama LINDORA alla dritta, GIACINTO presso ROSANNA, FORESTO vicino a LAURETTA e FABRIZIO da un lato, arrabbiato per non esser vicino ad alcuna donna
 
 CONTE
 Dai lacci neghitosi del silenzio
580scatenando la lingua,
 qual monarca di dive e semidei,
 do glorioso principio a’ cenni miei.
 FABRIZIO
 Signor principe caro,
 il povero Fabrizio
585gli manda un memorial, con cui lo prega
 comandar ai pastor che per servizio
 lascino qualche ninfa anco a Fabrizio.
 CONTE
 Giuste le preci son ma non è giusto
 delle ninfe arbitrar. Quella sia vostra
590che inclinata e proclive a voi si mostra.
 FABRIZIO
 Tutte vorranno me.
 ROSANNA
                                      Sarei contenta
 se del signor Fabrizio
 foss’io la ninfa eletta
 ma non vuo’ disgustar la mia Lauretta.
 LAURA
595Eh no no, giacché vedo
 che a voi piace quel viso, io ve lo cedo.
 FABRIZIO
 E fra due litiganti il terzo goda.
 Io sarò di madama,
 se mi vuol, se mi brama.
 LINDORA
600Vi domando perdono,
 non mi vuo’ scomodar di dove sono.
 FABRIZIO
 Dunque dovrò star senza?
 GIACINTO
 Voi dovete soffrire.
 FORESTO
                                      E aver pazienza.
 FABRIZIO
 (Maledetti! Mi mangiano le coste
605e penar mi conviene?
 Or sì che i miei denar gli spendo bene).
 CONTE
 Dall’arcadico trono,
 a cui per vostro dono io son alzato,
 due comandi vi do tutti in un fiato.
610Primo: ciascuna ninfa
 scelga il pastor di tutti alla presenza
 ma non vuo’ che Fabrizio resti senza.
 Secondo: quel pastor che sarà eletto
 con qualche regaletto
615riconosca la ninfa
 e lei, com’è il dovere,
 del regalo disponga a suo piacere.
 FABRIZIO
 Bravo, bravo, vi lodo.
 ROSANNA
 D’un tal comando io godo.
620Potrò senza riguardi
 il mio genio svelar.
 GIACINTO
                                      (Già mia voi siete). (Piano a Rosanna)
 ROSANNA
 Deh lasciate che io finga e non temete. (Piano a Giacinto)
 FABRIZIO
 Lasciatela parlar. (A Giacinto)
 ROSANNA
                                   Se mi concede
 il sospirato onore,
625sarà il signor Fabrizio il mio pastore.
 FABRIZIO
 Evviva, evviva. Ah! Che ne dite? Oh cara!
 Che gioia! Che diletto!
 Per la mia pastorella io già vi accetto.
 LAURA
 Piano, piano di grazia, padron mio,
630che ci pretendo anch’io.
 Or che non v’è riparo,
 la maschera mi levo e parlo chiaro.
 V’ho scelto nel mio core
 di già per mio pastore
635e se non mi volete
 impazzir e creppar voi mi vedrete.
 FORESTO
 (So che finge). Ma come! Se Rosanna...
 ROSANNA
 Io Fabrizio pretendo.
 LAURA
 Di cedere Fabrizio io non intendo.
 FABRIZIO
640Signor principe, questo è un brutto imbroglio.
 CONTE
 Dall’arcadico soglio
 così decido e voglio:
 per consolar delle due ninfe il core,
 abbian due pastorelle un sol pastore.
 FABRIZIO
645Evviva, evviva; bravo per mia fé.
 Son capace, lo giuro, anco per tre.
 LINDORA
 Dunque, signor Fabrizio,
 s’ella dice da vero e non ischerza,
 io fra le ninfe sue sarò la terza.
 FABRIZIO
650Venga la quarta ancor, mi fa servizio;
 non mi perdo in la folla; io son Fabrizio.
 Levatevi di qua. (A Foresto e Giacinto)
 Loco per voi non c’è.
 Una volta per uno, tocca a me.
 CONTE
655Olà, suddito nostro,
 fermatevi per ora.
 Non è finito ancora.
 Se voi pastor delle tre ninfe siete,
 regalar le tre ninfe ora dovete.
 FABRIZIO
660(Oimè, son imbrogliato,
 questo favor mi vuol costar salato).
 GIACINTO
 Su via, fatevi onore.
 FORESTO
 Via, portatevi ben, signor pastore.
 FABRIZIO
 A voi Rosanna bella,
665mia cara pastorella,
 perché mi brilla in sen il cor contento,
 questo picciol brillante io vi presento.
 ROSANNA
 È molto spiritoso, è molto bello;
 brilla comecché a voi brilla il cervello.
 FABRIZIO
670Grazie a lei. A Lauretta,
 graziosa, vezzosetta,
 per cui ognora tormentato sono,
 quest’orologio d’or presento in dono.
 LAURA
 Il vostro dono accetto
675e contemplar prometto
 in lui la vostra amabile figura,
 perché voi siete tondo di natura.
 FABRIZIO
 Obbligato. A madama,
 perché si guardi dalla stranutiglia,
680le do una tabacchiera di Siviglia.
 LINDORA
 Ed io, che v’amo tanto, bramerei
 che in questa tabacchiera,
 per poterne goder a tutte l’ore,
 fosse polverizzato il vostro core.
 FABRIZIO
685Che bontà! Che finezze!
 CONTE
                                              Or di que’ doni
 ne disponga ciascuna a suo talento
 e faccia al donator un complimento.
 ROSANNA
 Io pongo quest’anello
 nelle man di Giacinto
690e dico al donatore
 ch’io lo delusi e questo è il mio pastore.
 FABRIZIO
 Come!
 LAURA
                Quest’orologio
 a Foresto consegno
 e al donatore io dico
695che già di lui non me n’importa un fico.
 FABRIZIO
 Che! Che!
 LINDORA
                      La tabacchiera
 al principe presento e mio pastore,
 perché quel tabaccaccio mi fa male
 e chi me l’ha donato è un animale.
 CONTE, GIACINTO, FORESTO
700Viva il signor Fabrizio.
 Si rallegriam con lei.
 FABRIZIO
 Che siate maledetti tutti sei. (Tutti si alzano)
 
    Corpo del diavolo,
 parmi un po’ troppo.
705Che! Sono un cavolo?
 Son gentiluomo
 del mio paese,
 io fo le spese,
 io son padrone.
710Che impertinenza!
 Che prepotenza!
 Come? Che dite?
 Eh padron mio,
 basta così.
 
715   La vuo’ finire,
 me ne vogl’ire.
 Signore ninfe,
 gnori pastori,
 bon viaggio a loro.
720Che? Non gli piace?
 Se n’anderanno,
 signori sì.
 
 SCENA II
 
 Tutti, fuorché Fabrizio
 
 MADAMA
 Oh quanto mi fa ridere!
 FORESTO
 Signori, con licenza,
725vuo’ seguitar Fabrizio. Egli è arrabiato.
 Vuo’ veder di placarlo. A dirla schietta,
 tutto il torto non ha. Ma questo è il frutto
 di chi vuol far di più del proprio stato;
 spende, soffre, non gode ed è burlato. (Parte)
 LINDORA
730Io rido quando vedo
 certi pazzi che fan gl’innamorati
 e credon col contante
 render la donna amante.
 Quando il genio non v’è, non fanno niente.
735Si lascian nell’inganno;
 e se si voglion rovinar suo danno.
 LAURA
 In quanto a questo poi,
 non dico come voi.
 Non dono e non accetto
740e per non ingannar nulla prometto.
 LINDORA
 Parliam d’altro di grazia.
 CONTE
                                                Deh madama, (A Lindora)
 andiam per questi deliziosi calli,
 co’ vostri bei colori
 la vil bellezza a svergognar de’ fiori.
 ROSANNA
745(Che parlar caricato!) (A Giacinto)
 GIACINTO
 (E pur così affettato
 vi dovrebbe piacer). (A Rosanna)
 ROSANNA
                                         (Per qual ragione?) (A Giacinto)
 GIACINTO
 (Piace alle donne assai l’adulazione). (A Rosanna)
 CONTE
 Concedete ch’io possa
750regger col braccio mio... (A Lindora)
 LAURA
 Eh signor conte mio,
 lei parte con madama,
 Rosanna se n’andrà col suo Giacinto
 ed io resterò sola?
755Lei di cavaleria non sa la scola.
 CONTE
 Ha ragion, mi perdoni,
 io son un mentecatto, io son un bue.
 Servirò, se il permette, a tutte due.
 LAURA
 Se madama l’accorda...
 LINDORA
                                             Io nol contendo.
 LAURA
760Io son contenta e le sue grazie attendo.
 CONTE
 Eccomi. Favorisca. Faccia grazia.
 Su l’umil braccio mio poggi la mano.
 LINDORA
 Caminate più presto.
 LAURA
                                          Andate piano.
 GIACINTO
 (Son godibili assai). (A Rosanna)
 ROSANNA
765(Più grazioso piacer non ebbi mai). (A Giacinto)
 LINDORA
 Ma via, non vi movete?
 CONTE
                                             Eccomi lesto.
 LAURA
 Non andate sì presto;
 di già voi mi stroppiate.
 LINDORA
 Con questo andar sì pian voi m’ammazzate.
 GIACINTO
770(Oh belli!)
 ROSANNA
                       (Oh cari!)
 CONTE
                                            (Io sono
 nel terribile impegno). Via, Lauretta,
 un tantinin più presto,
 eh via, cara madama, (A Lindora)
 un tantinin più piano.
 LINDORA
775Più piano di così? Mi vien la morte.
 LAURA
 Vi dico ch’io non posso andar sì forte.
 CONTE
 
    Questa forte e quella piano,
 l’una tira e l’altra mola;
 non so più cosa mi far.
780Favoriscano la mano,
 anderò come potrò.
 
    Forti, forti, saldi, saldi,
 vada pur ciascuna sola,
 io gli sono servitor.
 
785   Che comanda? Eccomi qui.
 Ch’io la servi? Eccomi pronto.
 Caminiam così, così.
 Troppo forte? Troppo piano?
 D’incontrar io spero invano
790di due donne il strano umor.
 
 SCENA III
 
 ROSANNA, GIACINTO, LINDORA, LAURETTA
 
 GIACINTO
 Ah ah, che bella cosa!
 ROSANNA
 (Cosa invero piacevole e gustosa!)
 LINDORA
 Lauretta andate pian quanto volete,
 per non venir in vostra compagnia,
795vi faccio riverenza e vado via. (Parte)
 LAURA
 Oibò? Correr sì forte
 non conviene per certo ad una dama.
 Affettar noi dobbiam, per separarci
 dalla gente ordinaria,
800una delicatezza estraordinaria. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 ROSANNA, GIACINTO
 
 ROSANNA
 Bei caratteri al certo.
 GIACINTO
                                         Anzi bellissimi.
 Io, che stolto non son, scelta ho per ninfa
 donna di senno e di beltà.
 ROSANNA
                                                  Di grazia,
 non seguite anche voi quel vil costume
805di adular, per piacere.
 GIACINTO
                                           Ah nol temete;
 io vi stimo assai più che non credete.
 ROSANNA
 Per or godo l’onore
 che siate mio pastore
 ma, terminata poi l’Arcadia nostra,
810pastorella non son, non son più vostra.
 GIACINTO
 Chi sa, se non sdegnate
 di chi v’adora il core,
 io per sempre sarò vostro pastore.
 ROSANNA
 Felicissima Arcadia allor direi,
815se tutti i giorni miei
 lieta passar potessi al colle, al prato
 col mio pastor, col mio Giacinto allato.
 
    Sento che un certo ardore
 mi pone in moto il sangue,
820mi fa sbalzare il core
 e non lo posso dir.
 
    Sarò felice appieno,
 se mi potrà sì bello
 vezzoso pastorello
825vicina ognor soffrir.
 
 SCENA V
 
 GIACINTO solo
 
 GIACINTO
 Purtroppo è ver che s’introduce il foco
 d’amor ne’ nostri petti a poco a poco,
 queste villeggiature,
 in cui sì francamente
830tratta e conversa ognun di vario sesso,
 queste cagionan spesso
 nella stagion di temperati ardori
 impegni, servitù, dolcezza, amori.
 
    Purtroppo facili
835siamo ad amar;
 un guardo, un riso,
 benché improviso,
 se parte amabile
 da un vago viso,
840ah basta a toglierci
 la libertà.
 
    Il debil sesso
 ha sopra noi
 l’impero espresso
845ne’ desir suoi
 e quando accingesi
 a lusingarci
 chi può resistere,
 fuggir chi sa!
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
850Non vuo’ sentire.
 FORESTO
                                  Eh via, signor Fabrizio,
 siete un uom di giudizio,
 siete un uomo civile,
 non fate che vi domini la bile.
 FABRIZIO
 Che bile? Che m’andate
855bilando e strabilando!
 Ve ne dovete andar qualor vi mando.
 FORESTO
 Finalmente fu scherzo.
 FABRIZIO
 Sì, fu scherzo ma intanto
 l’orologio, la scatola e l’anello
860non si vedono più.
 FORESTO
                                     Siete in errore;
 eccovi l’orologio,
 la scatola e l’anello.
 Ciò ch’ha di vostro ognun di noi vi rende
 né d’usurpar il vostro alcun pretende. (Gli dà l’orologio, la scatola e l’anello)
 FABRIZIO
865Eh non dico, non dico ma vedermi
 strappazzato e deriso...
 FORESTO
 Lo fan sul vostro viso
 per prendersi piacer ma dietro poi
 le vostre spalle ognun vi reca lode
870e del vostro bon cuor favella e gode.
 FABRIZIO
 Son bon amico e faccio quel ch’io posso.
 FORESTO
 A proposito, amico,
 che facciam questa sera?
 La carrozza è venduta,
875sono andati i cavalli
 e da cena non v’è.
 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
 tanti bei ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
 Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
880sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
 Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
 L’orologio e l’anello
 si potrian impegnar.
 FABRIZIO
                                         Sì, dite bene.
 FORESTO
 Ma non so se denaro
885si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
 questa scatola ancora.
 Altro più non mi resta,
 Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
 Siete un grand’uom; peccato
890non abbiate il tesor maggior del mondo
 (che presto noi gli vedremmo il fondo).
 Vado a trovar denaro
 e tosto a voi ritorno.
 Un certo non so che si va ideando.
895Qualor torno, saprete il come e il quando. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
 Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
900Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
 mi par troppo sofistica).
 LINDORA
                                               Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  (E pur, se mi volesse,
 io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
905Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni,
 non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quasi in petto una vena m’è creppata.
 FABRIZIO
910Cancaro. Se ne guardi.
 LINDORA
 Sederei volontier ma questa sedia
 è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico. Eh reca tosto
915una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
 cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
920Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
 Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
925Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
 la sedia ed il guanciale,
 quell’odor di vacchetta mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccole un matarazzo;
930di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strappazzo,
 lo conosco, lo so; no, non credevo
 dover soffrir cotanto.
 (Io creppo dalle risa e fingo il pianto).
 
    Voglio andar... Non vuo’ più star,
935più beffata esser non vuo’,
 signorsì, me n’anderò.
 Sono tanto delicata
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
940che m’ha fatto lagrimar.
 
    Il bagiano se lo crede,
 e non vede
 ch’io sol fingo la sdegnata
 ma per farlo disperar.
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
945Si contenga chi può. Corpo del diavolo
 non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
 il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all’improvviso
 stassera una comedia.
 FABRIZIO
                                           Io non ne so.
 FORESTO
950Non temete, ch’io vi concerterò,
 Giacinto è destinato
 a far da innamorato;
 da innamorata dovrà far madama,
 Lauretta fa la serva, il nostro conte
955farà da genitore
 e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
 Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo dovrò far? Quest’è un mestiere
 ch’è difficile assai.
960Per far ridere i pazzi
 non vi vuol grand’ingegno
 ma far rider i savi è grand’impegno.
 FORESTO
 Già s’avvanza la notte,
 andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
965Farò quel che potrò.
 Mi dispiace il parlar all’improvviso.
 Se fosse una comedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
 dicendo che il poeta è un ignorante. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
970Certo non dice mal, sogliono tutti
 gettar la colpa su la schiena altrui.
 Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
 quel ch’ha fallato è il mastro di capella».
975E questo d’aver fatto
 gran musica si vanta
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impresario
 senza saper qual siane la cagione
980se ne va dolcemente in perdizione. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Sala. Sinfonia che precede la comedia.
 
 GIACINTO col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella, LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine il CONTE da Pantalone
 
 GIACINTO
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome cà.
 GIACINTO
 Siccome un’atra nube
 s’oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quelle mura
985coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede, ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
 GIACINTO
 Fedelissimo servo,
990batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 GIACINTO
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 GIACINTO
 Finger dei che vi sia.
 Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
995come i comici fanno alla comedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme na grazia;
 pe che da tozzolare aggio alla porta?
 GIACINTO
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Cà sulla strada?
 GIACINTO
1000È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti.
 Ma ciò sogliono usar i comedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
1005quando ho battuto io, battesse a me?
 GIACINTO
 Lascia far, non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Songo io.
 LAURA
 Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 GIACINTO
                                               Chi siete voi,
1010quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 GIACINTO
 Di Diana cameriera?
 LAURA
 Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 GIACINTO
                                       Deh vi prego,
1015chiamatela di grazia.
 CONTE
                                         Colombina. (Di dentro da Pantalone)
 LAURA
 Oimè, quest’è il padrone.
 FABRIZIO
 Mannaggia a Pantalone.
 GIACINTO
 Ritiriamoci tosto. (Si ritira)
 FABRIZIO
 Poss’esse Pantalone fatto arruosto. (Si ritira)
 CONTE
1020Cossa xe, fantolina.
 Cossa xe, Colombina,
 cossa fastu qua in strada?
 LAURA
                                                 Ero venuta
 per lo spazzacamino.
 CONTE
 Se ti ha qualche camin da governar,
1025sì ben che mi son vecchio e poco bon,
 co se tratta de ti,
 vegnirò, coccoletta, a scoarlo mi.
 LAURA
 Caro signor padrone,
 mi fate vergognar.
 CONTE
                                     Caro quel sesto!
1030Caro quel viso bello,
 per ti, viscere mie, perdo el cervello.
 
    Per ti, mia coccoletta
 amor da furbacchietto
 sonando il ciuffoletto
1035la bella furlanetta
 el me vol far ballar.
 
    Via, cara, vegnì a mi,
 oh viscerette care,
 ah che non posso più. (Parte)
 
 GIACINTO
1040È andato.
 FABRIZIO
                     Fosse acciso.
 GIACINTO
 Chiamatela di grazia.
 LAURA
                                          Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme peccerella,
 viencene ancora tu,
 ch’a nce devertarimo fra de nuie.
 LAURA
1045Sì sì, questa è l’usanza,
 se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
    Il padron colla padrona
 fa l’amor con nobiltà.
1050Noi andiamo giù alla bona
 senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz’altre pene:
1055«Mi vuoi ben, ti voglio bene»
 e in tal modo presto presto
 ogni duol si fa passar.
 
    Dicon lor ch’è un gran tormento
 quell’amor che accende il core;
1060diciam noi ch’è un gran contento
 quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi;
 penan molto e parlan tardi.
1065Noi diciam quel che conviene
 senza tanto sospirar. (Si ritira fingendo chiamar Diana)
 
 GIACINTO
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceresti o Menarella?
 GIACINTO
 Ecco, viene quel bel che m’innamora.
 FABRIZIO
1070Con essa viene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 GIACINTO
 Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 GIACINTO
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
1075Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
 Ah tu si’ la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 Ah voi siete il mio caro Pulcinella.
 GIACINTO
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
 Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
1080Per te me sento lo Vesuvio in petto. (A Laura)
 LAURA
 Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 GIACINTO
 
    Vezzosetta, mia diletta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia carella.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
1085Pulcinella bello mio.
 
 LINDORA
 
 Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po’ abbracciar. (Viene da Pantalone)
 
 PANTALONE
 
    Ola, ola, cossa feu?
1090Abbrazzai? Cagadonai?
 Via caveve, via de qua.
 
 LINDORA
 
    Io m’inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padrone.
 
 GIACINTO
 
 Riverisco mio signore.
 
 FABRIZIO
 
1095Te so’ schiavo Pantalone.
 
 PANTALONE
 
 El ziradonarve attorno,
 tutti andeve a far squartar.
 
 GIACINTO
 
    Vuol ch’io vada?
 
 PANTALONE
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
 Vado anch’io?
 
 PANTALONE
 
                             Mi v’ho mandao.
 
 GIACINTO
 
1100Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
 Anderò con Menarella.
 
 LINDORA, LAURA
 
 Io contenta venirò.
 
 PANTALONE
 
 Via, tiolé sto canelao.
 Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
1105   Signor padre, per pietà. (S’inginocchia)
 
 LAURA
 
 Gnor padron, per carità. (S’inginocchia)
 
 GIACINTO
 
 Deh vi supplico ancor io. (Fa lo stesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio. (Fa lo stesso)
 
 PANTALONE
 
 Duro star no posso più.
1110Via mattazzi, levé su.
 
 A QUATTRO
 
    Io vi prego.
 
 PANTALONE
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
 Vi scongiuro.
 
 PANTALONE
 
                           Vegnì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
 Alla fin son venezian,
1115m’avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
 Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
    Viva, viva il dolce affetto;
 viva, viva quel diletto
 che produce un vero amor,
1120che consola il nostro cor.
 
 Fine dell’atto secondo